![Su Tempiesu, il ritorno [vincitrice "Contest MemoRAS" della Regione Autonoma della Sardegna]](https://img.transistor.fm/uEDHCqIPJyqZiVHPJ6IVIZa3ELyNcHrudxVVnwtJsY4/rs:fill:800:800:1/q:60/aHR0cHM6Ly9pbWct/dXBsb2FkLXByb2R1/Y3Rpb24udHJhbnNp/c3Rvci5mbS81MWZm/NzhjODE3ZDMwYTZk/ODQ2ZDE0NDcwMjE1/M2YxOC5wbmc.webp)
Su Tempiesu, il ritorno [vincitrice "Contest MemoRAS" della Regione Autonoma della Sardegna]
Orune è un borgo barbaricino, a 25 chilometri da Núoro, con splendidi scenari naturalistici, radicate tradizioni e un’eredità nuragica unica in Sardegna: su Tempiesu.
Orune è solo una macchia bruciata sulla montagna. Te lo lasci alle spalle ed è zolla di terra, sole che brucia, luce che acceca. Per me, nata nelle città, è difficile non rimanere… come si dice in italiano?
Divertiti pure a fare l’emigrata che rientra in Sardegna dopo una vita passata all’estero. Ma non andare a Su Tempiesu.
Allora, per arrivare tu esci da Orune, costeggi il cimitero sulla sinistra, poi segui la strada asfaltata per cinque chilometri. Cinque chilometri ti passano in fretta se guardi dal finestrino, è come vedere passare una cartolina dopo l’altra. Come tutte quelle cartoline che compravo quando in Sardegna potevo tornarci solo in vacanza, compravo le cartoline ma non le spedivo mai. Certe volte le scrivevo anche, però non le spedivo. Poi tornata a casa le ritrovavo in fondo ad una borsa, però mi dispiaceva buttarle.
Non andare a Su Tempiesu, va bene fare questo tuo pellegrinaggio da emigrata che torna, ma non andare a Su Tempiesu, è l’unica cosa che ti chiedo. La strada è brutta, è piena di curve. Tu hai sempre sofferto. Forse ti sei dimenticata quando eri bambina e ogni volta che andavate a trovare tua nonna, e le curve di Mandas, e per ogni viaggio, e non c’era volta che tu non stessi male, te ne sei forse dimenticata? Curva dopo curva dopo curva…
Il mio amico mi ha detto che mi porta a vedere la fonte magica di Su Tempiesu, ed io la voglio vedere. Voglio vedere i blocchi di basalto e voglio toccarla, l’acqua della fonte magica. Chissà, magari mi porta fortuna in questo mio rientro a casa.
Ma tu a queste cose non ci credi. E lo sai che starai male, non fare finta che non sia importante.
Sono solo cinque chilometri…
Ma ci pensi? Curva dopo curva dopo curva. E non è finita lì, perché quando finisce la strada asfaltata, poi devi andare a piedi per arrivare alla fonte, è quasi un chilometro da fare a piedi, è una montagna da scoscesa, e al ritorno praticamente ti devi arrampicare, e fa troppo caldo, non ce la farai mai.
Lo so, fa caldo, ma sono previdente, e mi sono portata dietro il cappello con la visiera, ed ho una bottiglietta d’acqua e ho messo le scarpe comode.
Ma perché fai finta di non ricordarlo? Da bambina facevi arrabbiare tutti perché ad avere la nausea cominciavi appena salivi in macchina, ancora prima che accendessero il motore. Te ne sei dimenticata? E ancora prima di partire ti davano la Xamamina e ti dicevano di poggiare la testa sul sedile e di dormire, però tua madre lo sapeva che non c’era niente da fare, e aveva sempre in borsa una busta di plastica perché così potevi vomitarci dentro senza sporcare i sedili…
Ma qui, adesso, col mio amico che mi accompagna… questo è diverso. Lo sento, adesso non soffro più.
E cosa ci sarebbe di diverso dopo tutti questi anni? Cosa dovrebbe essere cambiato?
È cambiato che dopo tutti questi anni io non vedevo l’ora di tornare, e mi affido a lui, ho fiducia, lui che in queste montagne c’è nato e c’è rimasto, lui che non è mai andato via. Qualche cosa deve pur contare, no?
Curva dopo curva dopo curva
Sì, anche le curve, ormai mi ci sono abituata, e poi lui le conosce, una ad una, ci è passato mille volte a piedi da solo, o con il gregge, lui certe cose le sa e poi guida in un modo che il paesaggio gli viene incontro e le curve non mi fanno male. Ma perché fai così? Non li vedi i colori del cielo? Non lo senti il rumore impossibile che fanno queste cicale impazzite? Sembra di essere dentro un dipinto.
Fai male a credere alle tue sensazioni. Non fidarti di quello che ti dice il primo venuto solo perché lui qui c’è nato. Cosa c’entra? Non ci sei nata forse anche tu?
Non è il primo venuto, e poi è diverso. Io ci sono nata, ma sono andata via. Lui invece è rimasto e conosce tutto e mi ha detto che me lo spiegherà, zolla dopo zolla, pianta dopo pianta, fino ad arrivare alla fonte…
Fai male a credere a chi ti promette di portarti in posti, e ti promette che non starai male, come se fossero promesse che qualcuno può mantenere.
Dai! Voglio solo andare a vedere Su Tempiesu. L’ho visto in foto ed è bellissimo! Quando arrivi giù, ci sono dei gradini che ti ci siedi sopra e guardi l’acqua che esce fuori, e senti questo rumore, cristallino, senti l’acqua che sgorga e tu puoi stare lì tutto il tempo che vuoi ad ascoltare.
Ma cosa speri di trovarci in quella fonte? Veramente credi di trovare qualcosa che non è già dentro di te? E poi cos’è improvvisamente questa sardità? Proprio tu, tu che sei nata in città e che sei scappata appena hai potuto? Cosa credi di fare?
Perché mi tratti così? Dopotutto l’hai detto anche tu, io qui ci sono nata. È vero, sono andata via, ma le mie radici non le ho mai dimenticate.
Come no, le tenevi a un metro di distanza, anzi, non a distanza: lontano come la peste. E quando te lo chiedevano dicevi che non volevi tornare mai più. Allora non erano più le tue radici?
Non è vero, non le ho mai rinnegate, è che non volevo star qua solo perché ci ero nata. Volevo scegliere di volerci stare. E ora sono tornata.
Sì, ma hai trascorso troppi anni lontana e non saranno certo queste gite turistiche da emigrata che rientra a riportarti in contatto con la terra perché tu in contatto con la terra non ci sei mai stata tu vieni dalle città.
Perché fai così? Perché vuoi rovinarmi tutto?
Qualcuno te lo deve dire, devi uscire da quella bolla di sapone.
Allora, uscita da Orune ti trovi il cimitero alla tua sinistra e lo costeggi. Hai notato come c’è sempre un cimitero da costeggiare, in ogni paese? Chissà perché. Comunque, non devo preoccuparmene perché non sono io che seguo la strada.
E certo, adesso c’hai il Navigatore…
Sì, e non c’è niente che tu possa fare per farmi cambiare idea, umore o intenzione. Guarda… guarda fuori dal finestrino…
Non c’è niente…
Appunto, niente e nessuno. Solo il cielo e dove finisce il cielo iniziano gli alberi e le rocce e il rumore assordante delle cicale. È tutto così… come si dice in italiano… overwhelming! Tra un po’ finisce la strada asfaltata, senti che caldo? E la luce che acceca e il sole che brucia…
Io non vedo niente.
Ed è tutto il niente di questo paesaggio che mi entra nel sangue con i suoi spazi e silenzi ed assenze, e per un attimo diventa parte di me e mi sconvolge e mi sembra di ricordare, anzi no di capire le cose e i suoni e il presente e gli spazi e le pietre e i colori e i paesaggi che scorrono dal finestrino e la nausea che dovrebbe venirmi per le curve, questa nausea che mi aspetto e che non viene e il buco che non si decide a formarsi nello stomaco e mentre andiamo avanti, con le nostre paure e incertezze e speranze, curva dopo curva dopo curva, e si avvicina la fine della strada asfaltata e mentre si avvicina la fonte e tutto è così chiaro, nitido e overwhelming, ecco, la mancanza del male, della nausea, allora so che ne è valsa la pena tornare e che tornerei dieci, mille volte ancora per poter essere qua, dentro l’abitacolo di un’autovettura, sballottata sulla strada per la fonte, ma senza più paura curva dopo curva dopo curva dopo curva dopo curva…
Svegliati. Siamo arrivati. Siamo arrivati.