Tornare a scrivere, dopo più di una settimana di silenzio, e farlo spinta dall’ascolto di una (bella) cosa che, come il mondo guardato dal fondo di un bicchiere di vetro, mi fa vedere le cose come sono, ma al contrario.
Al contrario è già la lingua: abituata ad avere nelle orecchie Ira, Roman, Helen e compagnia che mi sussurrano in inglese, quello che sto ascoltando è in italiano.
Sono conscia della spocchia del dire che ascolto solo cose in lingua inglese, ma chissenefrega, le cose belle in italiano da ascoltare sono poche.
Ascolto le puntate di una trasmissione della RAI per capirne il formato, praticamente faccio i compiti a casa, e così che mi imbatto in questa cosa (bella) che mi ha fatto uscire dal sonno pesante dove mi ero rintanata, per non pensare per un po’.
Ascolto e tutto è al contrario, perché il (bel) documentario di Jonathan Zenti (che documentari non ne fa mai perché la sua voce narrativa è così personale che sarebbe impossibile renderla invisibile) parla dei rientranti, quelli che vivono fuori e tornano a casa per le vacanze di natale, e quello che racconta mi fa vedere me stessa attraverso il fondo della bottiglia rovesciata, io che torno e trovo gli amici, così come ho fatto per tanti anni, quando ad ogni mio rientro tutto sembrava immobile, e questo provocava un senso di insofferenza per il luogo in cui ero nata, dove non cambia mai niente (all’inizio).
Però poi quando sei stato via quindici, venti anni, e allora quando torni speri disperatamente che non sia cambiato niente.
Tutto al contrario, così come al contrario è il mio essere una rientrante che ha fatto il cammino inverso, perché il mio rientro è come una seconda emigrazione (quando hai trascorso molti più anni fuori che dentro, a casa non lo sarai mai più da nessuna parte), ma questa volta l’emigrazione è senza fatica e senza nostalgie, senza il problema di dover imparare un’altra lingua (al massimo fai sorridere gli altri citando la pubblicità degli anni ottanta) e continuo a ripeterlo a chiunque abbia voglia di ascoltarmi, e soprattutto a quelli che non sono mai partiti e mi si avvicinano per chiedere “Scusa, posso farti una domanda personale? Ma perché sei tornata?” ed io che prima ci rimanevo male, adesso ho la risposta pronta e chiedo a mia volta “E tu perché non sei mai partito?” e nessuno ce l’ha mai una risposta da darmi.
E in questo momento di perfetta immobilità, con questo sole estivo a primavera che ha reso famosa l’isola dove son tornata dopo essere partita, con l’odore degli oleandri che cominciano a fiorire, e i rumori della gente che si prepara per mettersi a pranzo, io, finisco di ascoltare l’ultima delle cinque puntate del documentario di Jonathan, e sorrido e mi sento come il maratoneta che ha finito la gara.
Felice, di poter essere (se lo voglio) ancora di passaggio.

M. Cristina Marras