Uscire di casa o starsene a casa?

A mia madre le dico di non preoccuparsi

o mi arrabbio se mi dice che lei

a casa non ci rimane e che ha

bisogno di uscire?

Invito gli amici a casa oppure ognuno a

casa sua?

Cerco informazioni sul virus su internet, magari in

inglese che mi fido di più, oppure mi

metto a pulire la cucina?

A chi devo credere?

A quelli che dicono che per il bene

e il benessere collettivo è meglio se ce ne

stiamo tutti a casa per un po', almeno

finché non passa il grosso di questa epidemia,

oppure a quelli che dicono che non bisogna

farsi portare via la cultura e vado al

cinema?

No, al cinema non ci vado.

Stamattina a pranzo avevo deciso di sì, ma

poi ho trascorso troppo tempo davanti al computer

a leggere gli appelli, stati a casa, evitati

luoghi affollati, e alla fine non ci sono

andata.

Mi sono invece messa a fare le arance

essiccate al forno.

Ho provato a farne un po' al microonde,

che ci vuole meno, e anche se la

ricetta avvertiva che bisogna fare molta attenzione perché

si bruciano in un attimo, si sono bruciati

un po', ma solo al centro.

Però sono venute buone, e me le sono

mangiate quasi tutte, solo che adesso mi brucia

la bocca per l'alcol della buccia, credo.

In effetti è da qualche giorno che la

mattina appena alzata mi brucia un po' la

gola.

E naturalmente penso di avere il virus, anche

se poi dopo un po' mi passa, e

il mal di gola a me è sempre

venuto spessissimo, soprattutto quando parlo molto, ed io

parlo molto, molto spesso, soprattutto quando ho due

ore di lezione di seguito e parlo agli

studenti per due ore, come faccio spesso.

Quindi, non vado al cinema e faccio le

arance essiccate, però manca il detersivo per il

lavastoviglie.

o la lavastoviglie.

Non lo so se è maschile o femminile,

vado a controllare, scrivo nel browser 'lavastoviglie' e

mi vengono fuori tutte le offerte di unieuro,

aggiungo Treccani.

Ecco, lavastoviglie, singolare e femminile, composto di lava

e stoviglie, invariato, apparecchio elettrodomestico a funzionamento automatico

per il lavaggio delle stoviglie, le quali disposti

in appositi cestelli, vengono sottoposte a vari,

c'è l'accento circonflesso, che bello, vari getti

di acqua calda mista a detersivo, risciacquate più volte

e infine asciugate con getti di aria calda,

quindi singolare e femminile.

Allora, devo andare a comprare il detersivo per

la lavastoviglie, mi metto la giacca pesante, la

sciarpa e il cappello, perché da poco mi

sono tagliati i capelli cortissimi, siccome per tutto

il giorno non ci ho fatto niente, sembra

che mi sia appena alzata dal letto.

In ascensore non incontro nessuno, esco per strada,

il supermercato è a cinque minuti da qui,

forse anche meno, devo giusto attraversare il parco,

di solito il sabato pomeriggio è pieno di

famiglie, signore e signori anziani con le badanti

dei paesi dell'est, fidanzatini.

Due fidanzatini in effetti ci sono, sono avvinghiati

così come solo gli adolescenti, che se non

si avvinghiano qui nel parco non hanno un

posto dove andare, pochissime le famiglie, anzi nemmeno

una, c'è solo un po' di vento,

in cielo ci sono nuvoloni neri che incombono

e danno a tutto un'aria abbastanza da

fine del mondo.

Passo davanti al teatro lirico, l'altro giorno

hanno annunciato la sospensione di tutti gli spettacoli,

come d'altronde anche tutto il resto è

stato sospeso e le scuole chiuse, mi viene

in mente che lunedì devo portare mio figlio

a fare quella visita dall'otorino, prenotata un

paio di settimane fa, ma mi sto chiedendo

se non sia il caso di rimandare, visto

che non è niente di urgente.

Sono arrivata al supermercato, butto la borsa di

stoffa nel cestino con le ruote e me

lo tiro dietro, devo comprare 6 cose, lievito

di birra, caso mai ci venisse voglia

di fare il pane o i biscotti, zucchero

bianco, a casa abbiamo solo quello non raffinato

e mi sa che se voglio riprovare a

fare le arance essiccate è meglio usare lo

zucchero bianco, poi cosa?

Ah sì, il detersivo per la lavastoviglie, il

rotolo della carta da cucina, banane e carta

igienica.

Ho letto che in Australia non si trova

più la carta igienica nei supermercati perché la

gente ha paura di rimanere senza, carta igienica,

chissà perché tra tutti i beni di prima

necessità proprio la carta igienica, poi mi viene

in mente che in Australia non hanno il

bidet, noi in Italia male che vada possiamo

sempre lavarci nel bidet, ora che sono tornata

in Italia non so come abbia fatto a

vivere tutti quegli anni senza bidet, ricordo come

mi arrabbiavo quando venivano a trovarmi gli amici

dall'Italia e per tutto il tempo continuavano

a dire, ma come vivete senza bidet? e

io che pensavo get over it, però adesso

anch'io me lo chiedo, già come facevo?

Ci si abitua a tutto, ci abitueremo anche

a vivere in questo clima apocalittico come ci

siamo abituati a vivere senza bidet. Ho messo

le mie cose nel cestino, mi metto in

fila la cassa, dietro di me c'è

una signora che mi si appiccica alla schiena,

faccio mezzo passo indietro per costringerla a lasciarmi

un po' di spazio, sgomito ma lei non

si muove, mi giro completamente di spalle, poggio

le mie cose sul rullo e sto indietro

apposta per farle nervosire, non ho voglia di

girarmi e chiederle di lasciarmi un po' di

spazio per respirare, non voglio apparire esterica ma

questa è veramente di quelle che lo spazio

personale non sa cosa significhi, ho notato da

subito che è una signora dell'est tipo

badante, mi arrabbio con me stessa perché sono

io la prima a rimproverare chi fa affermazioni

come quella che sto pensando io adesso, pago

e me ne vado. Come esco fuori il

paesaggio è cambiato drammaticamente, sembra siano trascorse tre

o quattro ore, ora fuori fa buio, nel

cielo c'è una specie di coperta nera

che copre quasi tutto, all'orizzonte si vede

una striscia bianca e luminosa, che è il

cielo come sarebbe se non ci fossero queste

nuvole nere, il cielo come era quando sono

uscita da casa che erano le sei e

marzo in Sardegna alle sei c'è ancora

il sole. Ripercorro la strada per tornare a

casa e sembra che debba piovere da un

momento all'altro, passo davanti alle Ormus, una

serie di porticati coperti e con la pavimentazione

a mattonelle, mettono in collegamento due strade parallele,

di solito qui si radunano i ragazzini della

comunità filippina, la più numerosa d'Italia mi

dicono, per filmarsi sui cellulari mentre provano complicate

coreografie di ballo, stasera niente ragazzini, però sento

una musica, è un tango, ci sono due

adulti che ballano il tango davanti ad un

cellulare attaccato ad uno speaker, mi viene in

mente un film del regista argentino Solinas, mi

pare si chiamasse La Nube, pioveva ininterrottamente e

la gente aveva cominciato a camminare all'indietro

o qualcosa del genere, ma forse sto confondendo

e metto insieme due film, comunque atmosfera

è proprio da film di Solinas, questa musica

argentina è bellissima, struggente, come sempre il tango

sa essere. Mi torna in mente il mio

amico giornalista, conosciuto quando era venuto a fare

un pezzo di colore sulla caduta del muro

di Berlino, gli avevo fatto da interprete e

l'avevo portato al Palazzo delle Lacrime,

l'ex stazione di passaggio dall'ovest all'est,

trasformata in un luogo di cultura. L'avevo

portato ad una serata di tango, e lui

si era un po' innamorato di me e

poi ci eravamo persi di vista e poi

un giorno l'avevo cercato per vedere come

stava e allora non esisteva internet e gli

avevo scritto una lettera e mi era arrivata

una lettera scritta da suo figlio che mi

diceva che suo padre era morto di cancro

e che era nel cimitero accatturico di Roma

e di non farmi mai più sentire da

lui né da nessuno della sua famiglia. C'ero

rimasta malissimo.

Oggi quel ragazzino fa il giornalista, ne ho

seguito la carriera negli anni, la voce emozionata

è ancora un po' acerbaglinizi, oggi sicuro e

competente.

Sarebbe stato orgoglioso papà, lui che era un

gran romantico e che si era perduto come

in un sogno per le strade di Berlino.

Torno alla realtà, sento ancora le note del

tango, mi mordo le labbra e poi mi

decido, giro su me stessa e tiro fuori

il cellulare, mi metto a registrare, tengo il

telefono in mano, appoggiato alla tracolla della borsa

della spesa che mi pene dalla spalla come

se mi fosse dimenticata di rimetterlo in tasca

dopo averlo usato.

Continuo a registrare, passo davanti ai due che

ballano e non li guardo nemmeno.

Arrivo alla fine del porticato, non ho voglia

di fare tutto il giro dell'isolato, anche

tornare indietro così mi sembra brutto.

Mi avvicino all'unico portone che c'è,

è quello di una scuola privata e mi metto

a leggere il cartello che avvisa che a

causa del coronavirus sono sospese tutte le lezioni.

Fingo di leggere fino in fondo, poi mi

giro su me stessa e torno indietro e

continuo a registrare.

Quando torno sulla strada il cielo è diventato

ancora più buio, da un momento all'altro

comincerà a piovere, attraverso di nuovo il parco

in direzione opposta, ora non ci sono più

nemmeno gli innamorati avvinghiati.

Arrivo al portone, entro nell'atrio e

nell'ascensore, nemmeno qui c'è nessuno.

Mi viene in mente che il nostro ascensore,

come quelli di tanti palazzi, è molto

piccolo, non si può certamente tenere un metro

di distanza.

Mi ripropongo di fare le scale a piedi

la prossima volta, nel caso ci fosse qualche

vecchietta, per non metterla in imbarazzo.

Arrivo al piano, apro la porta e entro

dentro casa.

Mi accoglie l'odore di arance essiccate al

forno e mi sembra quasi che sia Natale.

Appena due mesi fa era Natale e a

tutti noi sembrava di avere chissà quelli problemi

e tutto adesso è passato in secondo piano.

Sì, le arance fanno proprio odore di Natale.

Allora, uscire di casa o starsene a

casa?

A mia madre le dico di non preoccuparsi

o mi arrabbia se mi dice che lei

a casa non ci rimane e che ho

bisogno di uscire?

Invito gli amici a casa oppure in una

casa sola?

M. Cristina Marras